L’italiano in Brasile: radici profonde, vasti orizzonti
Il Brasile ricevette un imponente flusso immigratorio italiano tra il 1870 e il 1960, quando arrivarono in Brasile almeno circa un milione e mezzo d’italiani, radicatisi soprattutto nelle regioni sud e sudest brasiliane. Oggi il Brasile ha la più grande colonia italiana al mondo con circa 30 milioni di “oriundi”. L’impronta italiana è chiara nell’architettura delle città e nei vitigni del Brasile meridionale. Immigrati divennero i capostipiti di famiglie miliardarie come i Matarazzo, i Martinelli, i Crespi, i Lunardelli, e i Siciliano, appena per citarne alcune. In alcuni locali la presenza italiana divenne così massiccia, che la riscossione di tasse veniva fatta con volantini bilingui portoghese-italiano.
Avviso di riscossione di tasse nel Comune di São Bernardo (1906, Fondo Octaviano Gaiarsa)
La lingua italiana tuttavia, ebbe parecchie difficoltà ad affermarsi e a diffondersi in Brasile. La stragrande maggioranza degli immigrati italiani era analfabeta e dialettofona. Nonostante il patriottismo che animò le tantissime associazioni italiane create dalla fine Ottocento in poi, molti dei suoi membri non erano in grado di esprimersi in italiano colto.
Comunque, nonostante l’analfabetismo diffuso, la stampa italiana riuscì ad affermarsi e contava con un grande pubblico di lettori. Già negli ultimi anni dell’Ottocento si contavano molti giornali scritti in lingua italiana come il “Fanfulla”, il “Piccolo”, la “Tribuna italiana” e tanti altri. La lingua italiana aveva così il modo, entro un certo limite, di diffondersi e di conservarsi tra i tanti emigrati residenti in Brasile.
Sin. Manifesto informativo per emigrati italiani con destinazione a San Paolo (1886).
Cen. “Il brasile e gli Italiani”, libro pubblicato dal giornale “Fanfulla” (1906).
Des. “Cinquantenario della Colonizzazione Italiana in Rio Grande do Sul” (1905)
La diffusione e la conservazione non rappresentavano, tuttavia, rinnovamento e perpetuazione del gruppo italofono. Tranne lodevoli esempi come quello della Dante Alighieri, la lingua italiana ebbe rari spazi in cui venisse insegnata ai discendenti delle famiglie immigrate, o anche a persone non appartenenti alla colonia italiana. Quindi, la lingua e molto spesso i dialetti vennero trasmessi in ambito familiare, da padre in figlio.
Gli italiani furono tra le etnie che più velocemente s’integrarono nel tessuto sociale brasiliano, avendo bisogno ad integrarsi di una generazione in meno di tedeschi e giapponesi. Eppure questa integrazione risultò troppo veloce perché la lingua italiana l’accompagnasse. La seconda generazione era ancora in grado di capire l’italiano, ma non di parlarlo. La terza invece, perse anche questa competenza passiva.
L’adozione del portoghese dagli italiani, e più ancora dai suoi discendenti, fu compresa come un fattore di ascesa sociale. Il portoghese era la lingua in cui gli immigrati venuti a “far l’America” avrebbero realizzato i loro affari. Questo processo fu accelerato dai figli, nati o cresciuti in Brasile, e fu un fattore molto importante per cui l’italiano, o i dialetti, venissero trascurati in seno alle famiglie.
Oltre ai processi sociali, anche ragioni politiche contribuirono a questo allontanamento dall’italiano. Essere italiani in terra brasiliana fu associato per un lungo periodo alla povertà, soffrendo molti pregiudizi. Inoltre, la società e le autorità brasiliane ritenevano doveroso che i discendenti degli immigrati fossero educati come brasiliani a tutti gli effetti, integrandosi in modo definitivo con la terra natia, liberi dei “pregiudizi di razza” dei genitori. A scuola, bambini sorpresi a parlare in italiano erano severamente rimproverati dai professori, che insistevano presso i genitori affinché parlassero ai figli solo in portoghese. Il contrasto fu accentuato durante il fascismo, con il tentativo dei fasci all’estero di irreggimentare gli immigrati e i suoi discendenti, strumentalizzando in chiave politica l’appartenenza a un gruppo etnico.
Il Brasile, sotto il governo di Getúlio Vargas, inasprì progressivamente le normative contro gli immigrati, e gli italiani furono i più colpiti. Nel 1938 associazioni straniere o a carattere straniero vennero proibite di funzionare in territorio brasiliano, colpendo associazioni italiane in diverse città. Finalmente, nel 1942, con l’ingresso del Brasile nella Seconda Grande Guerra, l’uso della lingua italiana, come altre lingue di Paesi dell’Asse, fu proibito, un divieto che venne abolito solo nel 1945. Ma il danno era ormai fatto. Associazioni e giornali della colonia chiusero o vennero costretti a cambiare nome e lingua, e parecchi di essi non tornarono a quelli originali neanche a guerra finita.
Cartello di avvertimento contro l’uso del tedesco, dell’italiano, e del giapponese (fondo Edilberto Luis Hammes)
Comments