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Perché il toscano fu la base dell'italiano?


Palazzo Vecchio, Firenze


È diventata una moda la facile risposta che dà il toscano come il modello dell'italiano soltanto grazie al prestigio raggiunto dalla Divina Commedia di Dante Alighieri. Semmai il credito viene allargato e conferito alle Tre Corone Toscane (Dante, Petrarca e Boccaccio). Tuttavia, questa è una semplificazione troppo riduttiva e quasi apertamente polemica, sostenuta a scopi vari da diverse correnti linguistiche, sociologiche e (purtroppo) anche politiche. Un' analisi più approfondita, fatta senza paura del "politicamente corretto" permette di osservare ben al di là di questo fattore indubbiamente importante, ma che non fu l'unico a far prevalere il toscano come modello linguistico dell'italiano a base nazionale. Il toscano si trovò alla base della lingua italiana per una serie di fattori.

Aspetti storico-linguistici: una volta conquistati da Roma, gli Etruschi, che erano un popolo culturalmente abbastanza colto, erano tra i popoli italici quello che parlava la lingua più distante dal latino, ma anche per questo, grazie alla loro cultura lo impararono nella forma più pura e che rimase meno contaminata dall'idioma locale comparata ad altri italici e alla stessa Roma, che diventava una città gigantesca e dove il latino parlato subì influssi da persone venute da tutte le regioni dell’Impero.


zona occupata dagli etruschi, da osservare che

il cuore del territorio etrusco corrisponde all'odierna Toscana

Dopo la caduta dell’Impero, la Toscana fu relativamente la regione italiana meno colpita dalle invasioni barbariche. Quindi, il latino (ormai detto "volgare") toscano fu quello meno esposto agli influssi delle lingue dei conquistatori germanici, specie nell'entroterra toscano come a Firenze e a Siena (al nord invece, come a Lucca e a Pistoia dove l'afflusso di Goti e Longobardi fu più forte, si osservano più reminiscenze).


mappa dei dialetti toscani

Che il "volgare" parlato in Toscana ancora fosse quello più vicino al latino in comparazione agli altri "volgari" parlati nella penisola, era un fatto già riconosciuto da intellettuali italiani anche fuori dalla Toscana. Antonio da Tempo, un padovano, affermò già nel 1332, nella sua Summa artis rythimici vulgaris dictaminis (Trattato Delle rime volgari), che “la lingua toscana è più adatta alle lettere rispetto alle altre lingue perché più comune e comprensibile”. Cioè, era il "volgare" che meglio poteva essere compreso da persone al nord e al sud della penisola, facendo da ponte tra queste zone. Va osservato che questo testo non fu influenzato dal De Vulgari Eloquentia di Dante (scritto fra il 1303 e il 1305), che all’epoca era un testo poco conosciuto, il che significa che siamo davanti a due riflessioni linguistiche indipendenti.

Aspetti culturali: Il prestigio letterario acquisito dalle Tre Corone, rese il toscano popolare in tutta Italia. Questo fattore spinse anche il veneziano Pietro Bembo nelle sue Prose della Volgar Lingua del 1525, a sostenere Boccaccio e Petrarca come modelli, rispettivamente, per la prosa e la poesia, come soluzione alla Questione della Lingua. In alcuni aspetti le prescrizioni bembiane suonano oggi arcaiche, ma spesso coincidono con le forme tuttora in uso dell'italiano, il che è la verifica della loro acutezza ed efficacia.

La tesi di Bembo divenne il modello ideale per autori ed editori, che cercavano un modello sicuro su cui uniformare le opere da stampare e pubblicare per il mercato italiano, come a Venezia, allora il più grande centro editoriale europeo. Tra gli esempi migliori di questa realtà figurano Aldo Manuzio, padre dell’industria editoriale e amico del Bembo, e Ludovico Ariosto che cambiò la lingua del suo Orlando Furioso dalla koiné padana del 1521 al toscano trecentesco, secondo i suggerimenti di Bembo.


Fiorino d'oro d'epoca Rinascimentale


Aspetti economici: Oltre ai fattori linguistici e letterari, Firenze era il più importante centro finanziario d’Italia durante il Rinascimento, e uno dei più importanti d’Europa. La moneta di Firenze divenne la moneta di scambio preferita in Europa, costituendo una zona economica che copriva l’intero continente, denominata all’epoca l’impero del Fiorino. (il nome fiorino era infatti un riferimento al nome antico di Firenze: Fiorenza).

Ancor prima di Firenze, anche la sua storica rivale Siena aveva sviluppato una fitta rete di commerci e scambi bancari. I mercanti e banchieri senesi erano presenti dappertutto in Italia e in Europa, e sia loro che i fiorentini contribuirono alla diffusione del toscano tra i principali mercati del Medioevo e del Rinascimento (finita la rivalità commerciale, ancor oggi le due città disputano il primato della lingua più "pura").


area dell'attività bancaria di Siena

La ricchezza raggiunta da Firenze, fece della città il più importante centro culturale d’Italia, divenendo senza esagerazioni la culla del Rinascimento, di cui l'esempio migliore sarà l'epoca di Lorenzo de Medici (1449-1492). Questo fece che i più grandi artisti e uomini di cultura, provenienti dalle più diverse parti d’Italia frequentassero la città, mentre invece artisti e dotti fiorentini frequentavano anche le altre grandi città italiane, chiamati da altri grandi mecenati rinascimentali come i Montefeltro di Urbino e gli Sforza di Milano.


Lorenzo il Magnifico, circondato dagli artisti. Affresco di Ottavio Vannini (1638-42)

Museo degli Argenti, Palazzo Pitti, Firenze


A coloro che sostengono che l'italiano basato sul toscano fu una forzatura linguistica, conviene ricordare che l'Italia fu uno dei pochi casi nella storia di paesi la cui lingua (e relativamente la cultura) era già unificata ben prima che politicamente il Paese divenisse uno Stato unificato. Mentre in quasi tutte le realtà europee la lingua di una corte che unificò il paese con le armi divenne lingua nazionale, in Italia il Piemonte non impose il suo dialetto come lingua, poiché aveva già adottato il toscano molto prima d'intraprendere la strada del Risorgimento. Anzi, l'adozione dell'italiano su base toscana dalla monarchia sabauda si diede nel 1561 (con l'editto di Rivoli), esatti 300 anni prima della creazione ufficiale del Regno d'Italia unificato nel 1861. Ma questo è un argomento che va meglio trattato su un altro articolo.

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